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Per rivedere te

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Honoré de Balzac lo diceva chiaro e tondo: l’amore è un lusso. Uno di quei lussi fondamentali, tanto che per concederselo c’è chi farebbe qualsiasi cosa come Gabriele Dadati, giovane e promettente scrittore, nonché protagonista dell’ultimo romanzo di Gabriele Dadati. Non è un errore, ma l’essenza di Per rivedere te, romanzo a metà fra l’autofiction e la metaletteratura, nel quale il vero Gabriele Dadati – che è nato nel 1982 a Piacenza, ha esordito nel 2006 con il piccolo successo Sorvegliato dai fantasmi (PeQuod), cui sono seguiti Il libro nero del mondo (Gaffi, 2011), e l’anno dopo Piccolo testamento (Laurana) – racconta del suo omonimo alter ego che cerca di barcamenarsi in una jungla editoriale che non fa prigionieri, vive in una famiglia che lo considera in fondo un estraneo, non riesce ad andare avanti da un punto nero che segna il passato: un punto nero che è la morte di S.

Tutto accade all’inizio dell’estate 2009, fra giugno e luglio, sotto “un cielo estivo che faceva da cassa di risonanza al sole; tratteneva piccole nuvole”. Gabriele viene chiamato da Mattia Spaini, scafato titolare di un’agenzia di comunicazione milanese, che lo invita a prendere parte a un progetto: “L’idea generale della serie è proprio quella di giovani giornalisti o musicisti o registi o architetti, o appunto scrittori, che si confrontano con i maestri delle rispettive discipline”. Rifiutarsi pare impossibile, e dunque Gabriele sceglie Manlio Castoldi – sottotraccia il riferimento ad Aldo Rosselli, figlio del grande storico e antifascista fiorentino Nello – che nel 1971 era arrivato in finale al Premio Strega quando a vincere era stato il gigliese Raffaello Brignetti, con lo splendido romanzo La spiaggia d’oro.

Scegliere Castoldi cambia il destino di Dadati, da tempo intrappolato in un mondo di sesso e di perdizione padana; per dirla con parole sue: “sono molto concentrato e mi rendo conto che penso solo alle mie cose”. L’incontro con Castaldi non è dei più memorabili – avviene in uno “studio che rigurgitava di oggetti e in un angolo, dietro la scrivania, teneva una grande testa del Duce in metallo” -, lo stesso maestro non si rivela che mediocre. Ma la nipote Tabita, laureanda in lettere con una tesi su Zavattini, istruttrice di nuoto sincronizzato nel tempo libero, “pancia piatta, due tette che venivano fuori come musi di volpe da sopra il condominio delle costole”, prima con il sesso – morboso, impetuoso, descritto minuziosamente – e dopo con l’affetto, conquisterà Dadati, che uscirà piano, lentamente, da quell’apnea luttuosa in cui si era immerso, a soffocare. Per rivedere te è però ancheun romanzo sui compromessi, su chi “viene a patto con l’autorità, con la fame, con la morale”, su chi è costretto ogni giorno a frustrare le proprie aspettative e i sogni adolescenziali, le eterne speranze. Un romanzo su come si impara a perdere, e a ricominciare. Ma è, soprattutto, un libro su chi sopravvive, al lutto e alla vita. Su chi non può, e forse non riuscirà mai, a dimenticare “un giorno caldo di metà maggio, quando la luce smaltata descriveva i dettagli di ogni cosa”.

Gabriele Dadati, Per rivedere te (Barney Edizioni, Pp. 245, € 15.50)

Questa recensione è uscita oggi su Repubblica Firenze.