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Adele Cambria, la memoria femminista dell’Italia delle Olgettine

Pochi mesi fa, Adele Cambria ha compiuto ottant’anni, ma sembra una ragazzina quando sorride e mi apre la porta della sua casa di via dei Pettinari. Sotto il caschetto imbiancato brillano i suoi occhi azzurri mentre mi accoglie e mi accompagna sulla sua terrazza, da cui Roma è un insieme di tetti, chiese, insegne, e rumori. In questa stessa terrazza tante volte la redazione di Effe, la storica rivista femminista di cui Cambria è stata a capo negli anni Settanta, si è riunita per discutere di matrimonio, divorzio, aborto. Ma soprattutto del ruolo della donna nella società. Adesso, sono passati quasi quarant’anni dall’uscita del primo numero del giornale e Cambria non guarda a quel passato turbolento e affascinante che ha raccontato con dovizia di particolari nel bel memoir Nove dimissioni e mezzo: le guerre quotidiane di una giornalista ribelle (Donzelli, pp. 281), ma punta al futuro. Allo spettacolo teatrale tratto da In principio era Marx che andrà in scena il 10 dicembre a Cagliari e alla sua partecipazione oggi pomeriggio a Descritto, festival dell’editoria indipendente di Catania, dove presenterà il libro La porta è aperta di Giovanna Previdenti (Villaggio Maori). Questo è il primo di una serie di incontri che toccheranno anche Roma, Milano e Genova e il cui fil rouge è “la Cultura della Meritocrazia in Italia”.
Partendo dal tema scelto per quest’edizione del Festival, quale cultura della meritocrazia abbiamo in Italia?
Ma quale merito. È solo il cognome, da sempre, che viene premiato.
Parole che pesano non poco se a pronunciarle è una, come lei, che da quasi sessant’anni racconta il nostro Paese. Se i giri di cognome sono sempre gli stessi, l’Italia le sembra cambiata?
Prima eravamo soffocati dai democristiani e imperava la sessuofobia più totale. C’era proprio un’aria da sacrestia ammuffita, uno strettissimo collegamento moralistico. Vivevamo in un’atmosfera soffocante e pensavamo tutti: non vogliamo morire democristiani. Ma ci è andata molto peggio.
Cosa ne pensa della politica di adesso?
Non me ne importa più niente.
E delle donne?
È l’unica politica di cui mi interesso. Ricordo ancora quando sui primi numeri di Effe scrissi che, dopo dieci anni, potevamo finalmente chiamare le donne secondo i loro comportamenti: crumira, schiava astuta, reggipalle. Senza più sensi fraintesi di ecumenismo femminista. Ma mai avrei immaginato che ci sarebbero state le mendicanti olgettine, griffate dalla testa ai piedi, che vanno da Spinelli a farsi dare i soldi per le pappe dei loro cani. O la madre professoressa di storia dell’arte che, mentre la figlia si lamenta perché vorrebbe dormire invece di stare a fare i comodi di Berlusconi, le chiede quando si rivedranno e insiste per sapere quanto lui le ha dato.
Appartengo alla stessa generazione delle varie Nicole Minetti e Barbara Fagioli, e non posso fare a meno di domandarmi che cosa abbia ereditato la mia generazione da voi femministe.
Questo è il grande interrogativo che io riduco, marxisticamente, a una questione di mezzi finanziari. Non avevamo i mezzi per trasmettere quello che andavamo pensando. Con la morte di Noi Donne, avvenuta ormai dieci anni fa, in Italia non c’è più una rivista femminista. Effe ha chiuso nel 1981. La Maddalena sembra un sepolcro. Tutti i giornalisti maschi sono diventati femministi. Le opinioniste femministe, o che accetterebbero di essere definite tali, non esistono. Né l’Annunziata, né la Spinelli, mentre Natalia Aspesi si diverte a scherzare.
E allora che speranza può avere una giovane donna al tempo d’oggi?
Verificare a che punto sta la solidarietà fra donne. Perché siamo all’inferno, ma bisogna distinguere sempre fra chi all’inferno ci sta per davvero e chi no.
Dicendo così, Adele Cambria sorride. Sono passati quasi sessant’anni da quando lasciò Reggio per trasferirsi a Roma, che “allora era favolosa”, a casa di una zia che “mi appoggiava in tutte le mie stravaganze”. Ormai la grande borsa di vernice nera dentro cui metteva gli articoli non esiste più. È svanita come l’Italia che Adele raccontava. Eppure lei sorride ancora. È piccola e minuta, magrissima, con gli occhi azzurri che non smettono di rincorrere il passato, quando le donne avevano tutto un futuro davanti e le battaglie aveva un senso farle perché portavano con loro delle conseguenze. Non erano solo strilli a vuoto, non erano solo colpi a perdere.

Oggi, sul Riformista.