Tutto, niente

Il Bisso di Taranto

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Ci sono mestieri che non esistono più. Ci sono arti e tradizioni esaurite nel tempo. E’ questo il caso del bisso, la seta del mare, che secondo la leggenda veniva lavorato solo in due posti in tutto il mondo: a Sant’Antioco, in Sardegna, e a Taranto, in Puglia, dove veniva chiamato lanapinna o lanapesce.

Se a Sant’Antioco la produzione continua grazie all’ultimo maestro del bisso esistente al mondo, Chiara Vigo, a Taranto l’ultima donna in grado di trasformare il filamento prodotto dalla pinna nobilis in una seta naturale marina è morta negli anni Quaranta. Era Rita del Bene, giovane tarantina che, prima fra tutte nella storia a noi conosciuta, provò a vendere il bisso. Già, perché le regole che un maestro di bisso deve rispettare per tramandare al proprio allievo il lungo e complicato segreto che trasforma una massa informe in un prezioso materiale sono molto rigide. Prima fra tutte è che il bisso non si vende e non si compra. Mai.

Rita del Bene, nata a Massafra nel 1909 in una famiglia molto numerosa – era sesta di otto figli, non doveva essere della stessa opinione. Lei, che fin da giovanissima era stata attirata dal bisso e che nel 1930 aveva frequentato per due mesi all’Istituto Adele Sovena Donati di Roma il corso per l’insegnamento dei lavori femminili diplomandosi come sarta, con grande probabilità si era avvicinata alla seta del mare con un unico obiettivo: diventare ricca. Era brava a cucire, Rita del Bene, e con i suoi capelli neri, gli occhi mobili e scuri, le mani svelte che trapassano la tela, infilano l’ago e cuciono, cuciono come se cucire fosse l’unica cosa importante al mondo, probabilmente già si immaginava milionaria. Doveva essere convinta che sarebbe stata la prima donna al mondo a trasformare quella seta preziosa e introvabile in un materiale industriale.

Arrivò il 1936. Rita ne era certa: aveva trovato il modo. Brevettò così il suo “Procedimento di fabbricazione di tessuti mediante la utilizzazione dei filamenti fibrosi della Pinna nobilis”. Ne era convinta. Si poteva trasformare il bisso in filo tramite un lungo processo che consisteva in rammollimento, lavaggio, asciugatura, stropicciatura, pettinatura, cardatura, filatura e ammassamento. Si poteva fare del bisso un’alternativa, costosa, alla seta del baco.

Tentò la strada istituzionale, e quando le venne negata una cattedra per insegnare nelle scuole, aprì la sua scuola a Taranto, in Via Pitagora 22. Eppure non le bastava. Voleva sempre di più. Voleva ancora, ancora, ancora più soldi. E secondo la leggenda fu proprio questa smania a portarla alla morte. Perché il bisso non perdona chi infrange il giuramento del mare, il giuramento che ogni maestro del bisso deve pronunciare per diventare tale.

Era un giorno di primavera quando Rita del Bene lasciò i suoi 3500 chili di bisso per fare filo da vendere alle Seterie Sale di Como. Era ormai ricca. Non avrebbe più avuto problemi di soldi, e neppure i suoi figli, e neppure i suoi nipoti. Quello, poi, era solo l’inizio. Tornò a Taranto felice come non lo era mai stata prima. Ormai non era più la sesta di otto figli. Non era più la Rita povera che faceva la sartina e aveva uno stupido sogno. Finalmente era la Rita che aveva scoperto come vendere il bisso.

Non fece in tempo ad attraversare il ponte di Pietra che morì. Di colpo. Per un infarto. E mentre lei se ne andava nella sua Taranto, in quella città che non l’aveva mai capita e che aveva derubato delle sue pinne, i padroni delle seterie Sale di Como, che avevano provato a mettere nelle loro macchine quel filo duro e resistente inzuppato nell’amido per essere ancora più rigido, videro tutte le loro macchine distrutte. Finiva così, con una morte e un danno economico non quantificabile, la storia del bisso di Taranto.

 
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